1
[ VISIONI 162 ]
Roma
17 dicembre 2019
https://incontridicinema.wordpress.com
m@il [email protected]
“ L’arte della felicità”
Un viaggio nei ricordi a tinte chiaroscure
Titolo: L’arte della felicità Regia: Alessandro Rak Direzione artistica: Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone Sceneggiatura: Alessandro Rak, Luciano Stella
Character design: Alessandro Rak, Dario Sansone Voci: Leandro Amato (Sergio), Nando Paone (Alfredo), Riccardo Polizzy Carbonelli (speaker radiofonico), Renato Carpentieri (zio Luciano), Jun Ichikawa (Antonia), Lucio Allocca (padre di Sergio e Alfredo), Patrizia di Martino (Erika)
Montaggio: Marino Guarnieri Musiche: Antonio Fresa, Luigi Scialdone Origine: Italia Anno: 2013
Durata: 84 minuti
V I S I O N I ~ incontri di cinema ~
2
Sinossi
“Viviamo mille volte e mille volte siamo da buttare.”
Ѐ davvero un periodo critico per l’uomo postmoderno. Tra catastrofi naturali, violenze
inaudite, perdita di valori, famiglie allo sfascio, tutti corrono e nessuno sa dove andare a
rifugiarsi. In una Napoli abbandonata a se stessa, divorata dal degrado, Sergio, un ex
pianista di quarant’anni, riceve una triste notizia che lo sconvolge e lo tormenta. In preda
alla rabbia, all’insofferenza, all’abbandono e ai rimorsi per aver voltato le spalle alla
musica deludendo così il fratello violinista, viaggia ininterrottamente per la città osannata
dal maltempo. Nell’apocalisse annunciata, l’uomo dialoga con impeto con se stesso e con il
suo passato. Il suo Taxi diviene un porto di mare, è l’attimo in cui i passeggeri entrano ed
escono con i loro racconti di vita in cui tutti i significati si condensano e si svelano come
messaggeri di nuove speranze, risvegliando in Sergio ricordi che si ingigantiscono come
echi nel suo presente. Forse sarà di nuovo l’amore per la musica a farlo riemergere.
Il film, accompagnato dalle morbide note composte e dirette da Antonio Fresa e Luigi
Scialdone, ricorda l’animazione Waking Life di Richard Linklater (2001) per
l’intensità dell’introspezione e la profondità delle tematiche affrontate nei dialoghi. La
sceneggiatura dell’opera, invece, è un continuo rimando a simbologie buddiste e cattoliche,
tutta la trama è incentrata sul persistente confronto tra chi stenta ad accostarsi a una fede
e si sente smarrito e confuso (il personaggio di Sergio) e chi, invece, ha raggiunto la
serenità interiore avvicinandosi alla divinità. Nonostante Rak affermi di esser stato
lontano dalla volontà di rappresentare la religione con un’intenzione moralista, la visione
desta in proposito qualche dubbio.
C’è da chiedersi, a questo punto, quanto, in realtà, fosse stata necessaria la centralità
religiosa nell’affrontare il vastissimo discorso sulla felicità, su quello stato d’animo al
vertice delle sensazioni di benessere cui si giunge davvero in modo molto soggettivo. Il
regista risponde che l’ambito esplorativo del film – concepito per una visione adulta – è
quello di puntare alla spiritualità che è alla base della religione, far emergere, oggi più che
mai, l’urgenza di una emozione perduta, raccontare qualcosa che sia comunque fuori da
quelle forme di integralismo religioso.
3
Trama
Le strade di Napoli attraversano una città composita, difficile, complessa. Attraversare
queste strade in taxi è il modo migliore per osservare, in silenzio, il cambiamento di
paesaggio, gli aspetti positivi e negativi, e soprattutto le persone, immaginando le loro
storie. Ed è sulle storie, sul confluire delle storie nella vita di un uomo, che nasce L’arte
della felicità, lungometraggio d’animazione che ha debuttato alla settantesima mostra
del cinema di Venezia, nel 2013, e nato dalla mente del regista napoletano Alessandro
Rak.
Sergio, tassista e musicista, si perde nelle storie che vive e in quelle che ascolta. Chiunque
entri nel suo taxi parla, e parla di vita, di persone, parla
di Napoli; chiunque entri nel suo taxi affonda le proprie
storie negli occhi di Sergio, che mescola le parole degli
altri alle proprie. Ma la storia di Sergio è fatta del
rapporto con la musica e di quello con il fratello,
Alfredo, malato e devoto ad un buddhismo così lontano
dalla mentalità napoletana, in un leggero confronto tra
cultura occidentale e cultura orientale.
Ed è su questo confronto che Rak inserisce la voce di
una televisione che paragona il ciclo della
reincarnazione all’eterno ritorno di Nietzsche. Il
Buddhismo sembra potersi fondere con la cultura
occidentale, trovando le sue radici nella ciclicità, ma il
confine tra la religione e il vivere napoletano di Sergio,
rappresentato nel lungometraggio, è proprio in questa ciclicità nietzscheana. Lo
strumento attraverso il quale il filosofo tedesco tendeva alla riappropriazione del soggetto
conduceva l’uomo al di fuori di quello che era uno spazio metafisico, quindi anche religioso.
Al contrario della presupposizione Buddhista della ciclicità dell’anima, l’eterno ritorno è
uno strumento utilizzato con fini decisamente più immanenti, da colui che annunciava,
appunto, la morte di Dio. Ma i punti di contatto tuttavia permangono, evidenziando le
mille contraddizioni presenti non solo in Nietzsche, ma nel confronto tra le
4
civiltà. Contraddizioni che sono, forse, la parte più interessante messa in mostra da Rak
all’interno de L’arte della felicità, consentendo al piccolo annuncio televisivo, ascoltato
attraverso la finestra aperta d’una vicina, d’esser chiave di lettura di tutto il film, oltre che
spunto di riflessione sul confronto tra occidente e buddhismo.
Il rapporto tra i due fratelli si interfaccia attraverso la musica, altro strumento molto
utilizzato da Nietzsche per lavorare sulla filosofia, per arrivare ad un legame tra le due
culture fondato sull’amore fraterno; ma il lavoro culturale non si esaurisce sul confronto,
a tratti scontro, tra le due culture, e arriva ad una sintesi che si percepisce a partire dai
luoghi utilizzati da Rak. Napoli diventa luogo di pioggia e di strade, lunghe scalinate e
boschi, vulcani eruttanti e teatri.
Proprio sui particolari si sviluppa la storia: dal programma ascoltato in radio, chiamato
appunto L’arte della felicità; dall’incontro casuale con una ragazza dai capelli corti;
dalla spazzatura che sembra avvolgere e assediare la città; dall’eruzione del vulcano.
Tutti i particolari confluiscono, così come le storie, in un taxi vecchio e pieno di mozziconi
di sigarette, un taxi che non smette di girare, dal quale Sergio sembra non uscire mai.
Allo stesso modo con il quale i frammenti della città e le storie dei clienti del taxi si
intrecciano, anche le tecniche d’animazione utilizzate sono molteplici e si mescolano
sapientemente, per esser utilizzate ognuna nel momento migliore. Dal classico 2d alla
computer grafica fino alla fotografia, Alessandro Rak sviluppa un intrecciarsi di tecniche
sottomesse alla storia, al girare e rigirare in taxi per la città.
5
Critica
"Ricorda 'Cronaca familiare' di Pratolini questo straordinario cartone animato che
recupera, di fronte all'omologazione digitale dei kolossal Usa, il fattore umano. Ad opera
di Alessandro Rak, che ha scritto lo script con Luciano Stella e una factory al lavoro per
raccontare il quotidiano di un taxista che non vuole più affrontare il mondo, una Napoli
grigia e piovosa; poi i suoi incontri casual, il complesso rapporto col fratello e la forza del
passato. E il disegno è avvicinato come mai, ma con discreta indiscrezione."
(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 21 novembre 2013)
"'L'arte della felicità' è un film di animazione, italiano. Piuttosto speciale. Per l'efficacia del
disegno e per l'estrema suggestione delle atmosfere create, più che per l'eccesso di parole
retoriche (pesantemente 'filosofiche' ma anche poetiche) del sovrabbondante parlato."
(Paolo d'Agostini, 'la Repubblica', 21 novembre 2013)
"Preziosa la formula dietro a questo cartone animato italiano che riunisce una serie di
talenti intorno all'illustratore e regista Alessandro Rak e al produttore e co-sceneggiatore
Luciano Stella, cui si deve l'idea di un film ispirato alla manifestazione partenopea 'L'arte
della felicità', da nove anni luogo d'incontro per filosofi e studiosi. (...) La storia sarebbe
originale e poetica, non fosse che il cartone appesantito da un eccesso di dialoghi e
riflessioni fatica a trovare una misura."
(Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 21 novembre 2013)
6
"'L'Arte delle felicità', un film italiano a disegni animati ricco di contributi d'ogni tipo
(spesso preziosi) radunati attorno a sé da un noto produttore di Napoli, Luciano Stella, che
valendosi esclusivamente di artisti, napoletani come lui, li ha fatti operare all'interno di un
gruppo che, con un acronimo, ha definito MAD, e cioè Musica Animazione Documentari,
passando poi all'azione con uno stuolo di giovani, registi, sceneggiatori, musicisti,
animatori, montatori, insieme con i quali, dal 2005, ha dato vita a una Rassegna intitolata
'L'Arte della felicità'. Come si intitola anche questo film realizzato per lui da un trentenne,
Alessandro Rak, noto autore di fumetti e pronto a far rivivere sullo schermo quella sua
passione costruendo appunto uno spettacolo unicamente sulla base di disegni animati.
Uno spettacolo insolito, di gusto, con un rispetto attento delle esigenze del cinema. (...)
Immagini abbacinate, spesso percorse da fiamme, da veli, da lampi, da vivacissimi colori,
con personaggi costruiti con nitidi segni realistici in voluto contrasto con la visionarietà
dell'insieme, cui si aggiungono, fugaci ma intensissime, delle sollecitazioni poetiche come
un cervo tra gli alberi in mezzo a luci soffuse. Mentre le musiche, tutte d'autore, evocano
misteri. Un bell'esempio di disegno animato italiano."
(Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo - Roma', 21 novembre 2013)
"Opera prima di Alessandro Rak, inquadra Napoli all'apice del degrado: 'l'embrione
dell'apocalisse', un inferno, con Sergio per indolente Caronte, chiamato a raccogliere i
pezzi di una vita, e un fratello, che non è più. Prodotta da Luciano Stella con la factory
MAD, fa del CGI una promessa realizzata di democrazia audiovisiva: l'abbattimento dei
costi riporta i 'cartoon per adulti' in Italia. Pecca però di proselitismo buddista: ok l'afflato
spirituale, ma troppo incenso brucia gli occhi..."
(Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 21 novembre 2013)
7
"Presentato alla Settimana della Critica nell'ultima edizione veneziana, 'L'Arte della
felicità' esce nelle sale in 30 copie distribuito dall'Istituto Luce. È una bella notizia, per tanti
motivi. Il primo ha a che fare con la natura del film stesso, giacché stiamo parlando di un
film italiano d'animazione per grandi, genere pressoché sconosciuto qui da noi. Abbiamo
testimoniato qualche incursione straniera, soprattutto di produzione francese e belga, tra
le quali 'La triplette di Belleville', 'L'illusionista', 'Panico al villaggio', 'La bottega dei
suicidi', 'Valzer con Bashir', 'Paura del buio' (film a episodi, bellissimo, con illustratori di
fama alla prova con l'animazione), ma raramente abbiamo trovato distribuito in sala un
lungometraggio d'animazione d'autore italiano (per grandi). Per un precedente bisogna
risalire alla 'Piccola Russia' di Toccafondo, un kolossal ai tempi. Alessandro Rak, classe
'77, diplomato al Centro Sperimentale, è riuscito in questo intento con l'aiuto determinante
del produttore Luciano Stella, che qui firma anche la sceneggiatura. Il film s'ambienta a
Napoli nei giorni dell'apocalisse dei rifiuti, battuta eternamente dalla pioggia (come fosse
la Los Angeles di 'Blade Runner') in una sorta di visione distopica animata dall'errare
irrequieto di un tassista una volta musicista, alle prese con la scomparsa del fratello.
Tratto inciso e realistico, ma con molte fughe ed effrazioni stilistiche, compresa qualche
commistione con il video, seppur ridisegnato, 'L'Arte della felicità' offre come meditazione
animata libera ed errabonda, un esempio interessante di scuola napoletana, generoso e
alle volte debordante."
(Dario Zonta, 'L'Unità', 21 novembre 2013)
"'L'arte della felicità' del fumettista Alessandro Rak (...) conduce lo spettatore attraverso
le strade di Napoli a bordo di un taxi dove l'autista, musicista mancato, fa i conti con la
morte del fratello, monaco buddista, i fantasmi del passato, dolorose disillusioni, ma non
senza un raggio di speranza."
(Alessandra De Luca, 'Avvenire', 21 novembre 2013)
8
Analisi
Napoli, piove sempre a dirotto, è sempre notte. Un tassista che fu musicista non esce mai
dal suo taxi, chiuso com'è in una misantropia e depressione dalla quale non riesce più ad
uscire. Il suo amato fratello se ne è andato in Nepal, pensa te.
Ma se Sergio non esce dal
taxi ci sono i clienti, la vita di
fuori, che entra dentro.
Magari avverrà qualcosa alla
fine di questo viaggio al
termine della notte. Strano
che un cartone italiano
trionfatore all'European Film
Award sia passato così
inosservato da noi. Questa piccola perla "napoletana" avrebbe avuto tutte le carte in regola
per meritare una distribuzione degna di nota. […]
Siamo a Napoli, una Napoli cupa, laida, notturna e piovosa. Niente sole, niente guaglioni
che giocano a palla in piazza, niente madri che li richiamano dalle finestre, niente colori,
niente mare blu, niente profumo di pizza. Solo la notte, solo la pioggia. I rifiuti inondano
le strade (questo tema sociale è il più marcato del film), quasi si fa fatica a schivarli. Deve
farlo Sergio, tassinaro depresso che nella vita, un pò per mancanza di coraggio un pò per
perdita di stimoli, ha perso praticamente tutto. Ha perso la sua passione per il pianoforte
e per la musica in generale. Ha lasciato sua moglie. Ha perso, per sua scelta, ogni rapporto
con i genitori o gli altri parenti. Tutto perchè suo fratello Alfredo un giorno l'ha lasciato.
Da Napoli al Nepal. Quello
che volete, sta di fatto che
Alfredo ha deciso di
abbracciare il buddhismo.
E Alfredo era tutto per
Sergio, era il suo mito sin
da bambino, era il suo
punto di riferimento, era il
suo compagno di musica,
era il suo migliore amico.
9
Senza lui la vita, la musica, niente ha più senso. Sergio decide di vivere, letteralmente, nel
suo taxi. Lavora 20 ore al giorno, ci dorme dentro. La vita fuori non esiste più, Sergio è un
hikikomori su 4 ruote. Ma è la vita di fuori che in qualche modo entra nel taxi, e lo fa
attraverso i clienti. Vite fugaci che durano il tempo di una corsa.
Sergio viene a sapere della morte di Alfredo, stramazzato al suolo per un male incurabile
nel giardino di un tempio buddhista nelle montagne del Nepal. Sergio non ha più nessuno,
è solo un uomo depresso che parla con la gente e ascolta la gente. Ma che con la gente, alla
fine, non vuole averci nulla a che fare. Una bella ragazza dai capelli neri, però, sarà la
piccola crepa che, forse, porterà Sergio a distruggere la corazza della malattia e lo
porterà alla guarigione.
Rak ha un tratto di disegno affascinantissimo. Una cura del dettaglio maniacale. E
coraggio, persino. Solo vedere il volo del gabbiano nella pioggia, quel gabbiano che plana
sulla Napoli notturna, è qualcosa che ti fa capire l'ambizione artistica del regista. Disegno
neorealista, perfetto nella descrizione di luoghi e cose. Forse un filo più debole nel
tratteggiare le persone, i corpi, i volti. Ma guardare i dettagli dell'interno del taxi, ad
esempio, è portentoso. Le luci sono splendide (del resto già l'incipit lo dimostrava), i
"movimenti di macchina" notevoli. E che suggestiva questa Napoli notturna e
automobilistica, alla Michael Mann. Una Napoli quasi deserta però, priva di vita. Ma del
resto che vita volete che si veda col diluvio che c'è là fuori, quel diluvio che sembra non
10
abbandonare mai il film. In realtà quel diluvio, probabilmente, non è altro che metafora
della condizione esistenziale di Sergio. Depresso, misantropo, triste, solo, con un taxi pieno
di sogni ormai infranti.
L'Arte della felicità è principalmente un film sul ricordo. Le foto, i flash back, i ricordi
personali sono il costante fil rouge che lo attraversa. Non è un caso che Sergio porti la
prima cliente del taxi, la ragazza dai corti capelli neri, sui luoghi della memoria per lui più
significativi. La villa sotto la quale suo fratello lo spaventava, il mare attraverso il quale
lo abbandonerà. E' impressionante quante fotografie vedremo. E quante volte le vedremo,
anche le stesse. Rak e Stella (il co-sceneggiatore) "disegnano" un film dolce ma allo stesso
tempo per niente ammiccante. Ogni scena, anche la più retorica, sembra in qualche modo
aver dentro anche un pò di sano e realistico contraltare più cazzone o drammatico. Ad
esempio le chiacchierate tra i due fratelli, anche quando raggiungono vette altissime, sono
sempre contrappuntate da un linguaggio ed un atteggiamento molto più "basso".
Potremmo definirlo quasi un film ad episodi questo, visto che ogni nuovo cliente che entra
nel taxi sembra quasi una storia a sè stante. Ho trovato magnifica la figura dello zio
Luciano, personaggio più bello del film. Borioso, deliziosamente insopportabile,
apparentemente cinico. Eppure
così, semplicemente, profondo. E
che bello vedere entrare nel taxi
Maurizio Nichetti, meraviglioso
autore italiano che ha dato come
quasi nessuno al cinema di fantasia
nostrano senza mai essere ripagato
come meritava. Un eterno bambino
con due grandi baffoni. Irresistibile
anche la vecchia aristocratica e la
sua badante. Il suo "crescere da soli è come giocare a pallavolo contro un muro" è stato
personalmente uno dei momenti più intensi. Ecco, come dicevo, ho invece trovato un pò
ridondante il personaggio dello speaker con i suoi pipponi apocalittici ed esistenziali.
Peccato gli sia stato dato così spazio, così tanto che il titolo del film prende il nome proprio
dalla sua trasmissione radiofonica. Anche perché in questo modo si è commesso l'errore di
avere quasi un personaggio "doppio", lo speaker, appunto, e Alfredo con i suoi
11
insegnamenti buddhisti, questi sì di grande impatto (bello il discorso sul vivere solo il
proprio presente).
Rak usa varie tecniche animate, dalle più realiste ad altre più indefinite e quasi al confine
del simbolismo. La musica è importantissima, e onnipresente. Quella musica che era così
importante per Sergio, talentuosissimo pianista che, però, senza suo fratello e il suo
violino, è come se avesse perduto i propri polpastrelli. Ma non c'è niente da fare, anche la
musica è stata inghiottita dal diluvio e dalla notte. Si dice che per poter risalire bisogna
prima toccare il fondo. E, metaforicamente, non so cosa ci possa essere peggio del diluvio.
Forse qualcosa c'è però. Perchè siamo a Napoli. E a sorvegliare minaccioso la città c'è il
Vesuvio. E così Rak ci regala una sequenza che visivamente è da inserire nella storia
dell'animazione italiana. Se prima era pioggia adesso è lava e distruzione. Napoli, e
Sergio con essa, viene travolta dalla furia del vulcano. E se si sopravvive al diluvio, se si
sopravvive persino all'eruzione di un vulcano allora poi ci può essere solo il sole. La
macchinina con cui giocava da piccolo con Alfredo diventa quello che sapevamo fosse
sempre stato, il taxi di Sergio. Eccola la Napoli dal cielo blu, finalmente. C'è una ragazza,
quella ragazza, che vuole un passaggio Sergio. Magari, stavolta, la farai sedere sul sedile
davanti
12
Alessandro Rak
Napoli, 22 dicembre 1977
Fumettista, animatore,
sceneggiatore e regista
Nipote di Michele Rak (critico letterario, saggista e accademico italiano), vive e lavora ai Quartieri Spagnoli di Napoli.
Ha studiato presso il Centro sperimentale di cinematografia.
Insieme con Andrea Scoppetta, Alessandro Rak ha formato lo studio di animazione Rak&Scop nel 2001, creando un proficuo sodalizio artistico che in pochi anni ha prodotto non solo animazioni ma anche fumetti nonché studi, demo e character designing per varie case di produzione.
La sua opera più importante è il film L'arte della felicità (2013) di cui è regista e co-sceneggiatore (insieme a Nicola Barile, Paola Tortora e al produttore Luciano Stella) vincitore del Premio Arca Cinema Giovane, Premio Fedic e Premio Miglior Opera Prima al Raindance Festival di Londra e presentato in anteprima al pubblico di Lucca Comics & Games 2013.
Inoltre il film è il vincitore del premio "Miglior Film d'Animazione" agli European Film Awards nel 2014, co-sceneggiato e prodotto da Luciano Stella per BIG SUR in collaborazione con Mad Entertainment, Rai Cinema e Cinecittà Luce.
Tra gli altri lavori significativi, il video Looking Death Window (10') vincitore del CYLECT International Price e del primo premio al 6° International Festival of Film Schools di Città del Messico (1999), il video per Kanzone su Londra dei 24 Grana (2001), il video per La paura dei Bisca (2004) e il cortometraggio Va' per il Med Video Festival di Paestum (2005).
Tra i suoi fumetti: Ark per Grifo edizioni (2004); Zero or One (2005) e Bye bye jazz (2006) per Lavieri edizioni, A Skeleton Story per GG Studio edizioni (2007).
Nel 2013 Alessandro Rak ha diretto il film d'animazione L'arte della felicità, interpretato da Lucio Allocca, Leandro Amato, Silvia Baritzka, Francesca Romana Bergamo, Antonio Brachi.
Nel 2017 ha girato il film d'animazione Gatta Cenerentola in collaborazione con Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone.